Santi dell'11 Aprile
*Beato Angelo (Carletti) da Chivasso - Sacerdote (11 Aprile)
Chivasso, Torino, 1411 circa – Cuneo, 11 aprile 1495
Antonio Carletti (così si chiamava prima di abbracciare la vita consacrata) nacque a Chivasso nel 1411 da un'antica e nobile famiglia. Dopo aver studiato a Bologna diritto canonico e civile esercitò la professione forense.
A trentatré anni la svolta: morti i genitori, persone molto pie, rinunciò alla toga per consacrarsi a Dio. Dopo aver venduto i propri beni (distribuendo il ricavato tra il fratello e i poveri) entrò tra i francescani di Santa Maria del Monte a Genova, assumendo il nome di frate Angelo.
L'attenzione per i poveri sarà il grande filo rosso della sua vita. A Genova e a Savona promosse la costituzione dei Monti di pietà per combattere il fenomeno dell'usura.
Tra i francescani fu eletto Vicario generale degli Osservanti, il ramo fondato da san Bernardino da Siena.
Numerosi gli incarichi delicati a lui affidati da Papa Sisto IV, anche lui francescano, che aveva conosciuto Angelo da Chivasso a Genova. Fu autore anche di numerose opere tra cui la «Summa Angelica», un manuale di teologia morale che ebbe grande fortuna. Morì nel 1495 nel convento di Sant'Antonio a Cuneo. (Avvenire)
Patronato: Chivasso (TO)
Martirologio Romano: A Cuneo, Beato Angelo (Antonio) Carletti da Chivasso, sacerdote dell’Ordine dei Minori, insigne per dottrina, prudenza e carità.
Nel 1411 a Chivasso, cittadina poco distante da Torino, nell’antica e nobile famiglia Carletti, nacque il nostro Beato a cui fu dato il nome di Antonio. Studiò a Bologna, uno dei centri culturali più importanti d’Europa, conseguendo la laurea in Diritto Canonico e Civile e in Teologia. La sua era una famiglia pia, tanto che anche un altro fratello diverrà sacerdote.
Tornato a Chivasso esercitò la professione forense e divenne membro della Corte di Giustizia. Erano gli anni dei fasti e dello splendore della dinastia dei Paleologi.
Benché giovane, Antonio fu notato da Giangiacomo Paleologo che lo nominò Senatore e Consigliere del suo Marchesato.
Il nostro beato dei Paleologi vedrà sia la fortuna che la caduta. La svolta della vita venne però all’età di trentatre anni: morti i genitori, rinunciò alla brillante professione e al matrimonio per consacrarsi a Dio.
Sposò la povertà francescana prendendo il nome di Angelo. Vendette i propri beni, dividendo il ricavato tra il fratello e i poveri, e assegnò una casa paterna alla comunità per i pubblici consigli.
Entrò nel Convento di S. Maria del Monte a Genova, appartenente all’Osservanza di S. Bernardino da Siena che da poco era morto (un’unica Provincia univa Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta).
Qui conobbe Francesco della Rovere (futuro Papa Sisto IV). Ebbe come primo e delicato incarico l’insegnamento della teologia ai novizi. Genova sarà per venti anni la sua residenza principale. Durante questo periodo promosse l’erezione in città e a Savona dei Monti di Pietà per combattere il drammatico problema dell’usura che era in mano a uomini potentissimi. L’attenzione per i poveri sarà costante per tutta la vita.
A Savona fece anche costruire il Convento di S. Giacomo.
Dotto, umile, mansueto, paziente, dalle maniere cortesi, nel 1464 fu eletto Vicario Provinciale.
Era il primo di numerosi incarichi: nel Capitolo di Mantova del 1467 venne nominato Commissario, insieme a Padre Pietro da Napoli, per la suddivisione della grande Provincia francescana di Germania (nacquero così quella di Boemia, di Polonia e d’Austria). Nel 1472 a L’Aquila ebbe, per la prima volta, l’incarico più importante: Vicario Generale degli Osservanti. In occasione di quel Capitolo, presenti duemila frati, si traslò il corpo di S. Bernardino dalla chiesa dei Conventuali a quella nuova a lui intitolata e il B. Angelo ebbe l’onore di collocarlo personalmente nella cassa. In questo triennio fondò i monasteri di Saluzzo, Mondovì e Pinerolo.
Fu rieletto Vicario Generale a Pavia nel 1478. Tale carica significava viaggiare per l’Italia, spesso a piedi, per visitare i conventi, controllare l’osservanza della Regola ed eventualmente risolvere problemi e questioni.
Nel 1480 un gravissimo pericolo minacciò l’Italia. I Turchi conquistarono Otranto, dopo l'eroica resistenza degli abitanti che furono barbaramente trucidati (gli 800 superstiti piuttosto che abiurare la fede preferirono il martirio e sono oggi venerati come Beati).
I musulmani volevano conquistare Roma e sottomettere tutta la cristianità. Sisto IV, che bene conosceva le doti dell’amico Angelo, lo nominò Nunzio e Commissario Pontificio per organizzare la difesa cristiana contro l’avanzata ottomana. Il B, Angelo visitò tutti i regnanti d’Italia manifestando la gravità della minaccia. La valorosa resistenza degli Otrantini (quindici giorni) che permise al Duca Alfonso d'Angiò di organizzare un esercito, la morte del sultano Maometto II, l’impegno e le preghiere del nostro Beato scongiurarono il pericolo.
Nonostante avesse chiesto di essere dispensato fu eletto nuovamente Vicario Generale nel 1484 alla Verna (presente anche il B. Bernardino da Feltre) e poi confermato a Urbino nel 1489 (era quasi ottantenne). Rinunciò più volte alla dignità vescovile, rimanendo per tutta la vita un semplice sacerdote.
Accettò nel 1491, solo per obbedienza al nuovo Papa Innocenzo VIII, l’incarico di arginare, col Vescovo di Moriana, la diffusione della Riforma Valdese nel Ducato di Savoia. Ottenne numerose conversioni e un accordo pacifico tra Cattolici e Valdesi (1493). Al termine del suo ultimo Generalato le Province dell’Ordine erano venticinque, tutte esemplari per santità.
Fu un grande predicatore: i suoi quaresimali affollavano chiese e piazze. Predicò a Mantova, Genova, Cuneo, Susa, nel Monferrato e a Torino alla corte di Carlo I. Scrisse diverse opere, la più importante delle quali è la “Summa casuum conscientiae”, detta "Summa Angelica".
La prima edizione fu del 1476. Divisa in 659 capi, in ordine alfabetico, tratta delle varie questioni di coscienza.
Utilissima per i confessori è un vero e proprio dizionario di Teologia morale. Ebbe grande fortuna e diffusione. Come simbolo dell’ortodossia cattolica Lutero la bruciò nella pubblica piazza di Wittemberg il 10 dicembre 1520 insieme alla Bolla di Scomunica, al Codice di Diritto Canonico e alla Summa Teologica di S. Tommaso. Era già stata stampata trentun volte.
Fu guida spirituale di umili e di potenti: ricordiamo il Duca di Savoia Carlo I, S. Caterina di Genova (dal 1475) e la Beata Paola Gambara (che conobbe nel 1484). Quest’ultima, attratta dalla vita religiosa, si consigliò con lui prima di sposare il Conte Costa di Benevagienna. L’unione infelice, causa l’infedeltà e il carattere del consorte, fu però una scuola di santificazione.
Iscritta al Terz’Ordine Francescano, il Beato Angelo le fu Padre Spirituale indicando il modo in cui trascorrere le giornate: alzarsi presto, recitare le preghiere e il Rosario, frequentare la S. Messa, attendere ai lavori domestici e alla carità verso i poveri senza trascurare le letture spirituali.
Carico d’anni, di fatiche e di meriti morì l’11 aprile 1495, povero e umile (per tutta la vita disdegnò gli onori), nel convento di S. Antonio di Cuneo, dove ottantenne si era ritirato. Negli ultimi anni aveva persino questuato per le strade della città.
Tra i primi miracolati ci furono il Conte Costa, consorte della B. Paola, e un facoltoso genovese. Questi offrì la prima arca solenne in cui fu riposto il corpo del Beato che, incorrotto e flessibile, emanava una soave fragranza.
A metà del XVI secolo il convento di S. Antonio, per ampliare le mura cittadine, venne abbattuto e il corpo fu traslato solennemente nel Convento di S. Maria degli Angeli che sorgeva fuori città. Nel 1625 vennero istruiti i primi Processi per la beatificazione.
Le sacre reliquie furono sempre tenute in grande considerazione, venerate spesso anche dai Savoia. L’arca venne trasferita temporaneamente nella cappella dell’Ospizio cittadino dei Frati per essere maggiormente accessibile al popolo in occasione di calamità: la pestilenza del 1630 e un temuto assedio nel 1640. Nel 1681, con atto pubblico, fu proclamato dai Cuneesi loro Patrono. Nel 1691 e nel 1744 i Francesi cercarono di conquistare la città e la protezione del B. Angelo fu tangibile.
Nel 1691 una bomba inesplosa, dopo aver forato il tetto della chiesa, si adagiò di fronte all’urna. Benedetto XIV confermò il culto nel 1753, fissando la memoria al 12 aprile. In tale occasione Carlo Emanuele III, Re di Sardegna, fece dono di una cassa d’argento e bronzo per custodire il corpo, visibile attraverso un lato di cristallo. Nel 1802, a causa della soppressione del convento per le leggi napoleoniche, l’arca fu portata in Cattedrale. Dopo venti anni tornerà definitivamente a S. Maria degli Angeli.
Nella natia Chivasso, alla fine d’agosto di ogni anno, il santo concittadino è festeggiato con un’antica fiera. Alla sua città era rimasto sempre affezionato: vi costruì il convento di S. Bernardino (distrutto dai francesi nel 1542) e vi fece stampare la sua Summa nel 1486 da Giacomino Suigo. La cugina Bartolomea Carletti si fece, dietro suo consiglio, terziaria francescana fondando nel 1505, pochi anni prima di morire santamente, un monastero di Clarisse.
(Autore: Daniele Bolognini - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Angelo da Chivasso, pregate per noi.
*Sant’Antipa di Pergamo - Martire (11 Aprile)
m. Pergamo, Asia Minore, I secolo
Sant’Antipa da “fedele testimone”, come narra l’evangelista Giovanni nell’Apocalisse, portò a compimento il suo martirio in nome di Cristo presso Pergamo, in Asia Minore. L’iconografia lo raffigura quale vescovo. La tradizione orientale lo annovera tra i 72 apostoli di Cristo citati nei Vangeli.
Martirologio Romano: A Pergamo nell’Asia, nell’odierna Turchia, commemorazione di Sant’Antípa, che, testimone fedele, come dice san Giovanni nell’Apocalisse, subì il martirio in nome di Gesù. Il nome di Sant’Antipa ci è stato tramandato esclusivamente dal libro dell’Apocalisse, ove è detto dall’apostolo Giovanni “testimonio mio fedele, che fu ucciso tra voi, dove abita Satana”.
Se ne può dedurre che Antipa abbia subito il martirio a Pergamo in Asia Minore sotto il regno di Nerone, imperatore feroce nella persecuzione ai cristiani.
Andrea di Cesarea, nel commentare l’Apocalisse all’inizio del VII secolo, attestò di aver letto il racconto del martirio del santo, ma la “passio” tramandata non sembra corrispondere a quanto citato da Andrea, ma sarebbe piuttosto ricalcata sullo schema tipico di tale genere letterario.
Antipa in età ormai avanzata fu arestato in seguito ad una sommossa popolare e condotto dinnanzi al tribunale del prefetto della città. Interrogato come di consueto ed esortato ad ubbidire agli ordini imperiali e sacrificare agli dei, per il suo rifiuto fu allora trascinato al tempio di Diana e rinchiuso in un toro di bronzo arroventato.
Pare che venne edificata una chiesa sul suo sepolcro ed il suo culto è antichissimo in Oriente. Sia i sinassari bizantini che il Martyrologium Romanum pongono la commemorazione di Sant’Antipa all’11 aprile. L’iconografia lo raffigura quale vescovo. La tradizione orientale lo annovera tra i 72 apostoli di Cristo citati nei Vangeli.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria. - Sant’Antipa di Pergamo, pregate per noi.
*San Barsanofio - Eremita (11 Aprile)
Barsanufio (o Barsanofio), di origine egiziana, fu monaco recluso nel monastero di San Seridone presso Gaza, in Palestina. Visse tra V e VI secolo. Vivendo nella più stretta solitudine comunicava con le persone che a lui ricorrevano per mezzo di scritti.
Fu così tra i consiglieri e i maestri più ascoltati del suo tempo ed ebbe un grande influsso sul monachesimo orientale.
Ebbe come corrispondente Giovanni detto il Profeta, abate del monastero di Merosala e maestro del celebre Doroteo di Gaza. Gli scritti attribuiti ai due epistolografi sono raggruppati sotto il titolo di «Lettere ascetiche» o «Lettere di direzione». Furono stampate a Venezia nel 1816. Barsanufio morì verso il 540. Le sue reliquie furono portate a Oria, in provincia di Brindisi, dove si venerano nella cattedrale. (Avvenire)
Patronato: Oria (BR)
Martirologio Romano: Presso Gaza in Palestina, San Barsanufio, anacoreta, che, egiziano di nascita, fu insigne per una straordinarie doti di contemplazione e per l’integrità di vita.
Barsafofio, Barsanufio (Barsanofrio o Barsanorio), eremita, Santo
Nato verso la metà del sec. V in Egitto, entrò in un monastero presso Gaza dove visse in perfetta solitudine, trattando solamente con un monaco che gli faceva da segretario.
Fu un grande contemplativo ed ebbe doni soprannaturali. La fama della sua santità lo fece ricercare da molti solitari con i quali ebbe relazioni epistolari.
Tra essi ci fu Giovanni, detto il profeta, abate del monastero di Merosala e maestro del famoso Doroteo.
Il loro carteggio, di circa 800 lettere, è importante per la storia della spiritualità. In esso sono trattate questioni precise e brevi risolte con aforismi (apophthegmata) che furono poi usati come precetti monastici.
I pregi principali di quelle lettere consistono nella fedeltà alla tradizione ed in una discrezione di consigli adattati alle reali necessità umane, lontani da ogni eccesso.
Esse ebbero un grande influsso nei monasteri orientali, mentre rimasero ignote in Occidente.
Barsanofio morì in tarda età verso il 540 e la sua immagine fu riprodotta nella chiesa di S. Sofia a Costantinopoli insieme con quella di Antonio, Efrem ed altri santi. Dagli orientali è festeggiato il 6 febbraio, nel Martirologio Romano invece è commemorato l'11 aprile. Nella diocesi di Oria San Barsanofio si festeggia il 20 febbraio ed il 29/30 agosto.
Le sue reliquie furono trasportate da un monaco palestinese ad Oria (Brindisi) verso l'850 e collocate dal vescovo Teodosio presso la porta della città in un'antica basilica. Distrutta questa dai Saraceni, per lungo tempo se ne perdette il ricordo.
Furono ritrovate, si dice in seguito ad una visione, dal sacerdote Marco e trasferite nella cattedrale dove sono tuttora.
(Autore: Agostino Amore - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Barsanofio, pregate per noi.
*San Domnione (Donnione) di Salona - Vescovo e Martire (11 Aprile)
Martirologio Romano: A Spalato in Dalmazia, nell’odierna Croazia, San Domnione, vescovo e martire, che si dice sia stato ucciso durante la persecuzione dell’imperatore Diocleziano.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Domnione di Salona, pregate per noi.
*Beata Elena Guerra - Vergine (11 Aprile)
Lucca, 23 giugno 1835 - Lucca, 11 aprile 1914
Etimologia: Elena = la splendente, fiaccola, dal greco
Emblema: Giglio
Martirologio Romano: Nella stessa città, Beata Elena Guerra, vergine, che istituì la Congregazione delle Oblate dello Spirito Santo per l’educazione della gioventù femminile e istruì mirabilmente i fedeli sulla cooperazione dello Spirito Santo nell’economia della salvezza.
Scrittrice, teologa, apostola, santa, dice di lei il suo biografo padre Domenico Abbrescia. Ha studiato in casa italiano, francese, musica, pittura, ricamo e, di nascosto, anche latino.
A 19 anni è infermiera tra i colerosi di Lucca e a 22 l’aggredisce un male che la terrà per quasi otto anni a letto.
E lei studia i Padri della Chiesa, crea un gruppo di “Amicizie spirituali” tra le sue visitatrici, progetta forme di vita contemplativa.
Guarita, studia e viaggia: nel 1870 assiste in Roma a una seduta del concilio Vaticano I; e a Lucca, dopo prove e insuccessi, nasce infine per opera sua una comunità femminile, ma di vita attiva, dedita all’educazione delle ragazze e intitolata a santa Zita, patrona della città. E’ una comunità senza voti, un sodalizio di volontarie dell’insegnamento, pilotata da lei anche con gli scritti: i suoi agili “librini”, efficaci guide all’approfondimento della fede.
Qui è accolta per qualche tempo, e fa la prima comunione nel 1887, la futura santa Gemma Galgani.
Più tardi, l’istituto verrà riconosciuto dalla Chiesa come congregazione religiosa. Con la sua comunità, lei ha già problemi e anche conflitti. Ma ora decide pure di lanciarsi in un’impresa che va oltre la congregazione, oltre Lucca e l’Italia, per investire l’intera Chiesa. Ci ha pensato in segreto per anni e ora parte: bisogna ricondurre tutti i fedeli verso la conoscenza e l’amore per lo Spirito Santo, del quale Cristo ci ha detto: "Egli vi guiderà alla verità tutta intera" (Gv 16,13).
I cristiani sono troppo fiaccamente consapevoli della prospettiva gloriosa che ci attende col “rovescio di Babele” (come scriverà nel 1987 Severino Dianich), rinnovando l’evento della Pentecoste di Gerusalemme.
É tempo di agire, e nessuno la ferma: scrive al papa Leone XIII, insiste, riscrive, andrà anche in udienza: chiede forti spinte per un “ritorno allo Spirito”, che nel secolo successivo sarà così vivacemente annunciato da movimenti e gruppi. Tre documenti pontifici, fra il 1895 e il 1902, invitano a operare per questo scopo, personalmente caro a Leone XIII; e il vecchio Papa dà alle suore di Elena il nome di Oblate dello Spirito Santo. Chiarissimo segno che è stata capita. L’hanno capita a Roma. Ma a Lucca, in casa sua, c’è chi le si mette contro: suore, figlie spirituali sue.
E si arriva alle dimissioni di lei da Madre generale, ma con accompagnamento di inique umiliazioni.
Elena sa accettare anche questo, sostenuta dalle consorelle fedeli e dalla sua limpida visione dell’esempio di amore che bisogna sempre saper offrire. E’ il suo momento più alto. E si chiude al mattino di un Sabato santo, sùbito dopo che lei ha indossato l’abito di Oblata dello Spirito Santo.
Il suo corpo è sepolto a Lucca nella chiesa di Sant’Agostino. Nel 1959, Papa Giovanni XXIII l’ha proclamata Beata. La data di culto indicata nel Martyrologium Romanum è l'11 aprile. Mentre nella diocesi di Lucca viene ricordata il 23 maggio.
(Autore: Domenico Agasso - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Elena Guerra, pregate per noi.
*San Filippo di Gortina - Vescovo a Creta (11 Aprile)
Martirologio Romano: Commemorazione di San Filippo, vescovo di Górtina sull’isola di Creta, che, al tempo degli imperatori Marco Antonino Vero e Lucio Aurelio Commodo, difese con vigore la Chiesa a lui affidata sia dall’odio dei pagani sia dalle insidie delle eresie.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Filippo di Gortina, pregate per noi.
*Santa Gemma Galgani - Vergine (11 Aprile)
Lucca, 12 marzo 1878 - 11 aprile 1903
Nasce il 12 marzo 1878 a Bogonuovo di Camigliano (Lucca). La mamma Aurelia muore nel settembre del 1886. Nel 1895 Gemma riceve l'ispirazione a seguire impegno e decisione la via della Croce. Gemma ha alcune visioni del suo angelo custode. L'11 novembre 1897 muore anche il padre di Gemma, Enrico.
Ammalata, Gemma, legge la biografia del venerabile passionista Gabriele dell'Addolorata (ora santo), che le appare e la conforta. Gemma nel frattempo matura una decisione e la sera dell'8 dicembre, festa dell'Immacolata, fa voto di verginità.
Nonostante le terapie mediche, la malattia di Gemma, osteite delle vertebre lombari con ascesso agli inguini, si aggrava fino alla paralisi delle gambe, dalla quale però viene guarita miracolosamente. Le visioni di Gemma continuano e le viene data la grazia di condividere le sofferenza di Cristo. Nel maggio del 1902 Gemma si ammala nuovamente, si riprende, ma ha una ricaduta in ottobre. Muore l'11 aprile 1903. (Avvenire)
Etimologia: Gemma = dal nome generico delle pietre preziose
Emblema: Giglio
Martirologio Romano: A Lucca, Santa Gemma Galgani, vergine, che, insigne nella contemplazione della Passione del Signore e nella paziente sopportazione dei dolori, a venticinque anni nel Sabato Santo concluse la sua angelica esistenza.
Gemma Galgani nasce il 12 marzo 1878 a Bogonuovo di Camigliano (Lucca), riceve il battesimo il 13 marzo.
Il 26 maggio 1885, nella chiesa di San Michele in Foro, l’arcivescovo di Lucca somministra a Gemma la Cresima. La mamma Aurelia muore nel settembre del 1886.
Un altro grande dolore per Gemma fu la morte del fratello Gino, seminarista, avvenuta nel 1894, ad appena 18 anni.
Nel 1895 Gemma riceve l'ispirazione a seguire impegno e decisione la via della croce, quale itinerario cristiano.
Gemma ha alcune visioni del suo angelo custode che le ricorda che i gioielli di una sposa del crocifisso sono la croce e le spine. L'11 novembre 1897 muore anche il padre di Gemma, Enrico, e le misere condizioni della famiglia, la obbligano a lasciare la casa di via S. Giorgio per quella di via del Biscione, 13 (oggi via S. Gemma 23).
Gemma trascorre un periodo a Camaiore, presso la zia che l’aveva voluta con sé dopo la morte del babbo, ma nell’autunno 1899 si ammala gravemente e ritorna in famiglia.
I mesi invernali segnano grandi sofferenze per tutti e le ristrettezze economiche si fanno sentire penosamente sulla numerosa famiglia, oltre alle due zie Elisa ed Elena, vi sono i fratelli di Gemma, Guido, Ettore e Tonino, e le sorelle Angelina e Giulietta.
Guido, il fratello maggiore, studia a Pisa e, dopo la laurea in farmacia, cerca di aiutare la famiglia lavorando presso l’ospedale di Lucca. Anche Tonino studia a Pisa con sacrificio di tutti.
Nel periodo della malattia Gemma, legge la biografia del venerabile passionista Gabriele dell’Addolorata (ora santo). Gemma ha un'apparizione del venerabile che ha per lei parole di conforto. Gemma nel frattempo matura una decisione e la sera dell’8 dicembre, festa dell’Immacolata, fa voto di verginità.
Nella notte seguente il venerabile Gabriele le appare nuovamente chiamandola "sorella mia" e porgendole a baciare il segno dei passionistiche gli posa sul petto.
Nel mese di gennaio nonostante le terapie mediche, la malattia di Gemma, osteite delle vertebre lombari con ascesso agli inguini, si aggrava fino alla paralisi delle gambe.
Ad aggravare la situazione, il 28 gennaio si manifesta anche un’otite purulenta con partecipazione della mastoide. Proprio in quei giorni, il fratello Guido si trasferisce a Bagni di San Giuliano dove ha ottenuto una farmacia. Gemma è confortata dalle visioni del venerabile Gabriele e del suo angelo custode, ma è tentata dal demonio, che riesce a vincere con l'aiuto del venerabile Gabriele, ormai sua guida spirituale.
Il 2 febbraio i medici la danno per spacciata, secondo loro non supererà la notte, ma Gemma trascorre le giornate in preghiera, tra indicibili sofferenze.
Il 3 marzo è il primo venerdì del mese e la giovane ha terminato una novena in onore della beata Margherita Maria Alacoque (ora santa) e si accostò all'eucarestia, quando avvenne la guarigione miracolosa.
Il 23 dello stesso mese, tornata a casa dopo l’Eucaristia, Gemma ha una visione del venerabile Gabriele, che le indica il Calvario come meta finale.
Il 30 marzo, Giovedì Santo, Gemma è in preghiera, compie l’«Ora Santa» in unione a Gesù nell’Orto degli Ulivi, e Gesù a un tratto le appare ferito e insanguionato.
Nell’aprile seguente, preoccupata di non sapere amare Gesù, Gemma si trova nuovamente davanti al Crocifisso e ne ascolta parole di amore: Gesù ci ha amati fino alla morte in Croce, è la sofferenza che insegna ad amare.
L'8 giugno, dopo essersi accostata all'Eucarestia, Gesù le appare annunciandole una grazia grandissima.
Gemma, sente il peso dei peccati, ma ha una visione di Maria, dell'angelo custode e di Gesù, Maria nel nome di suo Figlio li rimette i peccati e la chiama alla sua missione Dalle ferite di Gesù non usciva più sangue, ma fiamme che vnnero a toccare le mani, i piedi e il cuore di Gemma.
Gemma si sentiva come morire, stava per cadere in terra, ma Maria la sorreggeva e quindi la baciò in fronte.
Gemma si trovò in ginocchio a terra con un forte dolore alle mani, ai piedi e al cuore, dove usciva del sangue.
Quei dolori però anziché affliggerla gli davano una pace perfetta. La mattina successiva si recò all'Eucarestia, coprendo le mani con un paio di guanti.
I dolori le durarono fino alle ore 15 del venerdì, festa solenne del Sacro Cuore di Gesù».
Da quella sera, ogni settimana Gesù chiamò Gemma ad essergli collaboratrice nell’opera della salvezza, unendola a tutte le Sue sofferenze fisiche e spirituali.
Questa grazia grandissima fu motivo per Gemma di ineffabili gioie e di profondi dolori.
In casa vi fu perplessità e incredulità per quanto avveniva, Gemma era spesso rimproverata dalle zie e dai fratelli, talvolta veniva derisa e canzonata dalle sorelle, ma Gemma taceva e attendeva.
Nei mesi estivi conosce i Passionisti impegnati nella Missione popolare in Cattedrale e da uno di essi viene introdotta in casa Giannini.
Gemma conosceva già la signora Cecilia, ma frequentandola nella casa di via del Seminario, inizia una vera e profonda amicizia con quella che le sarà come una seconda madre.
Nel gennaio del 1900, Gemma comincerà a scrivere a padre Germano, il sacerdote passionista che avrebbe riconosciuto in lei l’opera di Dio e nel settembre successivo lo incontrerà personalmente.
Sempre in settembre, Gemma lascia definitivamente la sua famiglia per andare ad abitare in casa Giannini, tornerà alla sua casa solo in rare occasioni per consolare la sorella Giulietta quando sofferente.
Nel maggio del 1902 Gemma si ammala nuovamente, si riprende, ma ha una ricaduta in ottobre. Nel frattempo muoiono la sorella Giulia (19 agosto) e il fratello Tonino (21 ottobre).
Il 24 gennaio 1903, per ordine dei medici, la famiglia Giannini deve trasferire Gemma in un appartamento affittato dalla zia Elisa, Gemma vive così l’esperienza dell’abbandono di Gesù in croce e del silenzio di Dio.
É fortemente tentata dal demonio, ma non smarrisce mai la fede, non perde mai la pazienza ed è sempre piena di amore e di riconoscenza verso chi l'assiste nella malattia.
Al mezzogiorno dell’11 aprile 1903, Sabato Santo, come si usava allora, le campane aveano annunziato la risurrezione del Signore e alle 13.45, Gemma si addormenta nel Signore, assistita amorevolmente dai Giannini.
Il 14 maggio 1933 papa Pio XI annovera Gemma Galgani fra i Beati della Chiesa. Il 2 maggio 1940 Papa Pio XII, riconoscendo la pratica eroica delle sue virtù cristiane, innalza Gemma Galgani alla gloria dei Santi e la addita a modello della Chiesa universale.
La data di culto per la Chiesa universale è l'11 aprile, mentre la Famiglia Passionista e la diocesi di Lucca la celebrano il 16 maggio.
(Autore: Maurizio Misinato - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santa Gemma Galgani, pregate per noi.
*Beato Giorgio Gervase - Sacerdote Benedettino, Martire (11 aprile)
Scheda del Gruppo cui appartiene:
“Beati Martiri di Inghilterra, Galles e Scozia Beatificati nel 1886-1895-1929-1987”
+ Tyburn, Londra, Inghilterra, 11 aprile 1608
Geroge Gervase, sacerdote benedettino e martire inglese, fu beatificato nel 1929.
Martirologio Romano: A Londra in Inghilterra, Beato Giorgio Gervase, sacerdote dell’Ordine di San Benedetto e martire, che fu allievo del Collegio Inglese di Douai e, sebbene imprigionato due volte in patria sotto il re Giacomo I durante l’esercizio del suo ministero pastorale, professò tuttavia con costanza la fede cattolica fino all’impiccagione.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Giorgio Gervase, pregate per noi.
*Beato Giovanni di Massaccio - Religioso (11 Aprile)
Massaccio (ora Cupramontana), Ancona, 1210 circa - 11 aprile 1303
Nato a Massaccio (ora Cupramontana) verso il 1210, fin da bambino si mostrò molto incline alla preghiera ed invitava i compagni a fare altrettanto con fervorosi sermoncini.
La sua occupazione era di condurre al pascolo il gregge.
Si racconta che un giorno fece scaturire una fonte, tracciando in terra un cerchio e invocando il nome di Gesù.
Più tardi, il pastorello prese l'abito religioso, forse nel monastero camaldolese dell'Eremita, ossia San Giacomo dei Mandrioli.
Poi si ritirò a vita solitaria in un luogo, detto anche oggi «Le grotte», dove, vissuto lungo tempo in austerissima penitenza, morì l'11 aprile 1303.
Fu sepolto nella chiesa e la sua tomba, illustrata da miracoli, divenne oggetto di pubblica venerazione.
(Autore: Costanzo Somigli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Giovanni di Massaccio, pregate per noi.
*San Guthlac - Eremita (11 Aprile)
674 – 714
San Guthlac fu uno dei numerosi principi del regno inglese della Mercia ad essere elevati alla gloria degli altari.
Nato nel 674, in giovane età con alcuni amici intraprese la carriera militare, compiendo così violenze e razzie.
Quasi tutte le guerre in cui fu coinvolto, che si combatterono sul confine con il Galles, gli guadagnarono un invidiabile bottino, nonché la fama di grande condottiero.
Trascorsi nove lunghi anni, arrivò per Guthlac il tempo della conversione che si concretizzò con l’ingresso nel monastero Repton nel Derbyshire.
Secondo la “Vita” che narra la sua vicenda, il principe monaco si contraddistinse tra i suoi confratelli per l’ascetismo estremo e la profonda avversione all’alcolismo.
Dopo due anni sentì però la chiamata alla vita eremitica ed a tal scopo gli fu proposto un luogo tanto lugubre a tal punto da essere odiato da tutti.
Nel 699 si ritirò dunque con qualche compagno in questa isoletta delle paludi del Crowland per il resto della sua esistenza terrena.
Assunse principalmente come modello di vita Sant’Antonio Abate, uno dei più grandi Padri del deserto.
Dovette superare numerose prove e tentazioni e subì l’attacco da dei cosiddetti “mostri”, identificanti probabilmente i discendenti dei britanni che si erano rifugiati in quella zona durante le invasioni dei sassoni.
Divenuto famoso per la sua vita austera e per aver ricevuto il dono della profezia, si trovo a dover ricevere un numero sempre crescente di visitatori, tra i quali il vescovo Edda di Lichfeld, che lo ordinò sacerdote, ed il principe ereditario di Mercia Atebaldo.
Dalla sua biografia si può notare come Guthlac non abbia mai manifestato rabbia, ansia o tristezza.
Avendo predetto il giorno della propria morte, poté invitare al funerale sua sorella Santa Pega, anch’essa eremita.
Morto dunque nel 714, la sua tomba divenne immediatamente meta di pellegrinaggi ed il fenomeno aumentò in seguito in seguito alla miracolosa guarigione dalla malaria del vescovo Ceolnoth di Canterbury avvenuta nell’851.
Una decina di luoghi di culto gli furono dedicati in Inghilterra.
Nel 1136 le sue reliquie furono traslate nell’abbazia di Crowland, edificata ove sorgeva la sua cella. San Guthlac è considerato uno degli eremiti inglesi più famosi della sua epoca.
(Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Guthlac, pregate per noi.
*Sant'Isacco di Monteluco - Monaco (11 Aprile)
† 550 circa
Martirologio Romano: A Spoleto in Umbria, Sant’Isacco, monaco, di origine siriana e fondatore del monastero di Monteluco, le cui virtù sono ricordate dal Papa San Gregorio Magno.
Le scarse notizie che ci restano relative alla vita e all’attività di sant'Isacco ci sono fornite dai Dialogi di san Gregorio Magno, il quale dichiara di aver appreso quanto narra, dalla viva voce dell’abate Eleuterio: «Multa autem de modem viro, narrante venerabili patre Eleutherio, agnovi», che era stato in rapporti di familiarità con il santo ed aveva sempre conformato la propria vita ai suoi insegnamenti.
Si apprende così che Isacco era venuto in Italia dalla nativa Siria, nella prima metà del VI secolo, per sfuggire all’oppressione dei monofisiti. Giunto a Spoleto, si rese subito famoso tra quegli abitanti per un fatto prodigioso avvenuto poco dopo il suo arrivo. Fermatosi infatti a pregare nella chiesa della città, ne era stato cacciato in malo modo, al termine del terzo giorno di ininterrotte orazioni, dal custode che, avendo osato insultarlo, percuoterlo e tacciarlo di impostore per il suo devoto comportamento, era stato invasato dallo spirito maligno, da cui venne tuttavia miracolosamente liberato da Isacco.
Lo scalpore suscitato dal fatto richiamò molta gente intorno al sant’uomo, che si vide offrire ogni sorta di beni perché volesse costruire un monastero, offerte che egli rifiutò. Ritiratosi sul Monteluco, nei pressi della città stessa, vi condusse per qualche tempo vita eremitica, poi, esortato dalla beata Vergine apparsagli un giorno, eresse su quell’altura, verso il 528, un monastero per accogliervi quanti desideravano far vita religiosa sotto la sua disciplina.
Organizzato sul modello della laure palestinesi, il monastero di Monteluco, dopo la morte del suo fondatore e primo abate, adottò la Regola benedettina.
Celebrato per la santità della vita, per lo spirito di astinenza e il disprezzo delle cose temporali, nonché per lo spirito profetico e il dono dei miracoli, Isacco morì intorno al 550. Fu sepolto nella chiesa di San Giuliano annessa al monastero, da dove venne poi trasferito in quella eretta a Spoleto in onore suo e di Sant'Ansano martire, chiesa in cui si conservano tuttora le sue reliquie.
Gli sono comunemente attribuiti sessantatré sermoni ed alcuni altri scritti, che appartengono forse piuttosto ad Isacco di Antiochia, detto il Grande (morto il 7 agosto 461), il quale fu scrittore molto fecondo, come attesta Gennadio di Marsiglia.
La festa di Sant'Isacco ricorre l'11 aprile.
(Autore: Niccolò Del Re – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Isacco di Monteluco, pregate per noi.
*Beato Lanuìno - Monaco Certosino (11 Aprile)
m. 1116/9
Primo successore di San Bruno alla Certosa di Serra San Bruno (VV).
Martirologio Romano: In Calabria, Beato Lanuíno, che fu compagno di San Bruno e suo successore, insigne interprete dello spirito del fondatore nell’istituire i monasteri dell’Ordine Certosino.
Fu il compagno di San Bruno, originario come lui della Francia, vennero in Italia e nel 1089, furono chiamati a Roma da Papa Urbano II, per dare consiglio e sostegno, nel difficile momento che attraversava la Chiesa.
Insieme si ritirarono, dopo due anni, nell’eremo di S. Maria della Torre, in diocesi di Squillace in Calabria, dando inizio alla vita eremitica e contemplativa nella Regione che prese poi corpo nella Regola Certosina, fondata a Chartreuse in Francia da San Bruno.
Dal 1091 tutti i documenti e bolle sia Normanni, sia papali, sono sempre indirizzati a Bruno e Lanuino.
San Bruno morì il 6 ottobre del 1101 nella Certosa chiamata poi di Serra S. Bruno, ed era naturale che a succedergli nella guida della certosa fosse Lanuino, ma questo lasciò dubbiosi alcuni monaci. Il Papa inviò un suo delegato a presiedere il Capitolo composto dai 32 monaci che costituivano la Certosa di Calabria e Lanuino fu eletto maestro; il Papa Pasquale II con bolla del 26 novembre 1101, si congratulò con lui invitandolo a Roma per la Quaresima.
Sotto la sua guida durata 15 anni, la Certosa di Calabria conobbe una grande importanza, tale da poter gareggiare con i più famosi monasteri benedettini della regione.
Favorito dai Normanni, che fornirono uomini e mezzi, edificò la grandiosa costruzione della certosa, traducendo in pratica le consuetudini monastiche brunoniane; organizzò la vita religiosa; dinamicamente sistemò i monasteri posti alla sua dipendenza.
Papa Pasquale II lo tenne in grande considerazione, sono decine gli incarichi, missioni, interventi, che gli diede da svolgere in tutta la Calabria; inoltre nominandolo visitatore apostolico di tutti i monasteri della Regione. Lanuino fu certamente il genuino interprete e l’erede più autorevole dello spirito certosino, come fu voluto dal fondatore San Bruno.
Non è ben certa la data della sua morte, posta fra il 1119 e il 1121, ma il Martirologio della Certosa di S. Stefano del Bosco, pone sotto il giorno 11 aprile la data della sua morte, avvenuta nell’anno 1116, ed essendo del XII secolo, è anche la più antica testimonianza del culto tributatogli come Beato.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Lanuino, pregate per noi.
*Beati Paolo e Giacomo - Cavalieri Mercedari (11 Aprile)
Soprannominati africani perché quella era la loro origine, i Beati Paolo e Giacomo, si convertirono dopo aver assistito al martirio del Beato Tommaso Vives avvenuto a Tunisi, il quale sopportò con forza meravigliosa per il nome di Cristo.
Vollero essere battezzati e vestire l’abito dell’Ordine Mercedario nel quale perseverarono fino alla morte nonostante che non abbiano versato il loro sangue come avrebbero desiderato per dar maggior lode a Cristo.
L’Ordine li festeggia l’11 aprile.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beati Paolo e Giacomo, pregate per noi.
*Beata Sancia del Portogallo - Principessa, Vergine (11 Aprile)
Portogallo, 1180 circa – Celas, Coimbra, Portogallo, 13 marzo 1229
La principessa Sancia fu figlia di Sancio I, secondo sovrano portoghese, quindi sorella delle beate Mafalda (2 maggio) e Teresa (17 giugno).
Nata a Coimbra intorno al 1180, rinunciò al matrimonio per conservare la verginità ed entrare nel 1229 tra le Cistercensi di Cellas, nel monastero che aveva precedentemente contribuito a fondare nel 1216, nel quale prese anche l’abito regolare. Morì in Portogallo, presso Coimbra. Fu beatificata nel 1705 dal pontefice Clemente XI con la sorella Teresa.
Martirologio Romano: Presso Coimbra in Portogallo, Beata Sancia, vergine, che, figlia del re Sancio I, fondò il monastero delle monache cistercensi di Cellis, dove vestì l’abito religioso.
La Beata Sancia del Portogallo, al secolo principessa Sancha Sanches de Portugal, fu la figlia secondogenita di Sancio I, secondo sovrano portoghese.
Suoi nonni paterni furono Mafalda di Savoia, figlia del conte Amedeo III, ed Alfonso I Henriques, primo re del Portogallo.
Sono dunque sorelle di Sancia le beate Mafalda (2 maggio), badessa di Arouca, e Teresa (17 giugno), regina di Castiglia e Leon, caso non unico nel vasto panorama di santità fiorito alle corti europee: sono infatti venerate come sante anche le tre sorelle principesse ungheresi Margherita, Kinga e Iolanda.
Sancia nacque nella città portoghese di Coimbra intorno al 1180 ed alla morte del padre nel 1211 avrebbe dovuto ereditare, secondo le disposizioni testamentarie di quest'ultimo, il castello di Alenquer e tutto ciò che concerneva tale possedimento, compreso addirittura il titolo di “regina” in quanto signora di tale castello.
Il nuovo sovrano Alfonso II, suo fratello, volendo accentrare nelle sue mani tutto il potere, non accettò dunque tale testamento ed impedì all'infanta Sancia di prendere possesso dei suoi titoli e dei redditi a lei spettanti, così come alle altre due infante sue sorelle Mafalda e Teresa. Ormai spogliata di ogni suo diritto, la principessa preferì rinunciare al matrimonio per conservare intatta la sua verginità ed entrare nel 1229 tra le Cistercensi di Cellas, nel monastero che lei stessa aveva precedentemente contribuito a fondare nel 1216, nel quale prese anche l'abito regolare e trascorse il resto dei suoi anni.
Vi morì dunque il 13 marzo 1229. I suoi resti mortali furono poi fatti traslare a Lorvao dalla sorella Teresa.
Proprio unitamente a lei, il 13 dicembre 1705 Sancia venne beatificata dal pontefice Clemente XI con la bolla “Sollicitudo Pastoralis Offici”. Il Martyrologium Romanum, nonché il calendario dell'ordine cistercense, commemorano la Beata Sancia in data 11 aprile.
(Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Sancia del Portogallo, pregate per noi.
*Beato Sinforiano Felice (Symforian Feliks) Ducki - Religioso e Martire (11 Aprile)
Schede dei gruppi a cui appartiene:
“Beati Cinque Frati Cappuccini” Martiri Polacchi “Beati 108 Martiri Polacchi”
Varsavia, Polonia, 10 maggio 1888 – Auschwitz, Polonia, 11 aprile 1942
Il Beato Symforian (al secolo Feliks Ducki), religioso professo dell'Ordine dei Frati Minori Cappuccini, nacque a Varsavia, Polonia, il 10 maggio 1888 e morì ad Auschwitz-Oswincim, Germania (oggi Polonia), l'11 aprile 1942.
Fu beatificato da Giovanni Paolo II il 13 giugno 1999.
Martirologio Romano: Nel campo di sterminio di Auschwitz vicino a Cracovia in Polonia, Beato Simproniano Ducki, religioso dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini e martire, che, arrestato durante la guerra per la sua fedeltà a Cristo, concluse sotto tortura il suo martirio.
Nacque il 10 maggio 1888 a Varsavia da Giuliano Ducki e Marianna Lenardt. Al battesimo, celebrato il 27 maggio seguente, ricevette il nome di Felice (Feliks). Frequentò le scuole elementari nella nativa Varsavia.
Quando nel 1918 i cappuccini fecero ritorno al proprio convento, abbandonato in seguito alla soppressione zarista del 1864, Felice, "definendosi aspirante di vecchia data all'Ordine", si uní a loro, prima come aspirante, rendendosi utile alla riorganizzazione del convento; e poi come postulante, nel giugno del 1918. Dopo un biennio di prova, il 19 maggio 1920, iniziò a Nowe Miasto, con il nome di Sinforiano, il noviziato, che concluse il 20 maggio 1921 con la professione temporanea. Terminato l'anno di noviziato, si dedicò al servizio fraterno nei conventi di Varsavia, di Lomza ed ancora di Varsavia (dal 27 maggio 1924), fino alla professione solenne, il 22 maggio 1925.
A Varsavia svolse prima la mansione di fratello questuante, impegnandosi nella raccolta di offerte per la costruzione del seminario minore di San Fedele e poi fu nominato, per diversi anni, fratello compagno del ministro provinciale. Di carattere semplice e amichevole, facilmente conquistava la simpatia del popolo e nuovi amici all'Ordine. Nonostante la sua vita molto attiva tra la gente, non perse mai lo spirito di preghiera e di devozione, distinguendosi per una preghiera devota e fervorosa. Era stimato dagli abitanti della capitale.
Allo scoppio della seconda guerra mondiale si adoperò per non far mancare il necessario né ai suoi frati né ai bisognosi fino al 27 giugno del 1941, giorno in cui la Gestapo arrestò tutti i 22 cappuccini del convento della capitale. In un primo tempo Sinforiano fu internato nella prigione di Pawiak, e poi, il 3 settembre ad Auschwitz. Di costituzione robusta, soffrì più degli altri la fame e le persecuzioni, sopportando tutto in silenzio. Le misere razioni fornite dai tedeschi, infatti, non coprivano nemmeno un quarto del fabbisogno dell'organismo di un uomo normale. Dopo sette mesi fu condannato a una morte lenta.
Una sera, mentre i tedeschi avevano iniziato a trucidare in modo bestiale i prigionieri, fracassando loro la testa a manganellate, Sinforiano li affrontò facendo su di loro il segno della croce. Il testimone oculare e compagno di prigionia, Czeslaw Ostankowicz, dichiara che ci fu un attimo di sbigottimento, seguito dall'ordine di bastonarlo.
Fra Sinforiano fu colpito da una manganellata in testa e stramazzò al suolo, ai piedi dei tedeschi, fra loro e i prigionieri. Poco dopo ebbe la forza di risollevarsi e rifece il segno della croce. Fu allora che lo assassinarono. Era l'11 aprile 1942. La morte di Sinforiano mise fine alla tremenda esecuzione che i tedeschi stavano perpetrando e una quindicina di prigionieri si salvò grazie al suo intervento. Questi caricarono con grande venerazione la salma di fr. Sinforiano insieme alle altre sul carro che le avrebbe portate al forno crematorio. Con il suo martirio Sinforiano ha dimostrato grande eroismo, ha professato la fede nella SS. Trinità, e ha salvato la vita a molti compagni di sventura.
(Fonte: Santa Sede - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Sinforiano Felice, pregate per noi.
*Santo Stanislao - Vescovo e Martire (11 Aprile)
Szczepanowski, Polonia, c. 1030 - Cracovia, 11 aprile 1079
Vescovo di Cracovia, fu pastore sapiente e sollecito.
Succedette al vescovo Lamberto nel 1072. Intrepido sostenitore della libertà della Chiesa e della dignità dell'uomo, difensore dei piccoli e dei poveri, subì il martirio sotto il re Boleslao II?
Canonizzato da Innocenzo IV ad Assisi nel 1253, è patrono della Polonia. Le sue spoglie, custodite nella cattedrale di Cracovia, sono mèta di pellegrinaggio attraverso i secoli. (Mess. Rom.)
Etimologia: Stanislao = la gloria dello stato, dal polacco
Emblema: Bastone pastorale, Palma
Martirologio Romano: Memoria di San Stanislao, vescovo e martire, che fu strenuo difensore della civiltà e dei valori cristiani tra le ingiustizie del suo tempo; resse come buon pastore la Chiesa di Cracovia, prestando soccorso ai poveri e visitando ogni anno il suo clero; mentre celebrava i divini misteri, fu ucciso dal re di Polonia Boleslao, che aveva severamente rimproverato.
Re Boleslao II di Polonia (1058-1079) è ricordato nelle pagine della storia per le vittoriose imprese militari che consolidarono il suo giovane stato, allargandone i confini a spese della Russia, per la valorizzazione delle terre, da lui promossa con una nuova organizzazione fondiaria, e per le riforme giuridiche ed economiche.
Di questo re, tuttavia, il primo storico polacco, Vincenzo Kadlubeck, ricorda anche le gravi ingiustizie e l'immorale condotta privata.
Ma sulla sua strada, Boleslao s'imbatté in un severo censore. Come già il Battista nei confronti di Erode, il coraggioso vescovo di Cracovia, Stanislao, levò alta la voce, ammonendo l'onnipotente sovrano del suo dovere di rispettare i diritti altrui.
Stanislao era nato verso il 1030 nella diocesi di Cracovia, a Szczepanowo, da genitori non agiati.
Compiuti i primi studi presso i benedettini di Cracovia, li poté perfezionare in Belgio, nel celebre studentato di Liegi.
Tornato in patria, si distinse per il suo zelo pastorale e per le benefiche iniziative portate avanti con carità e intelligenza. Morto il vescovo di Cracovia, Papa Alessandro II lo nominò all'alto incarico.
La sua designazione, oltre che dal popolo e dal clero, era stata caldeggiata dallo stesso Boleslao II, che nei primi anni ne assecondò l'opera di evangelizzazione in tutta la regione e la formazione del clero locale, secolare, che doveva prendere progressivamente il posto dei monaci benedettini nell'amministrazione della Chiesa polacca.
La buona armonia tra il vescovo e il sovrano durò finché il coraggioso Stanislao dovette anteporre i suoi doveri di pastore alla tolleranza verso le malefatte dell'amico, poiché la riprovevole condotta del sovrano correva il rischio di alimentare il malcostume tra i sudditi. Le cronache del tempo narrano infatti che il re, innamoratosi di una bella gentildonna, Cristina, sposa di Miecislao, senza frapporre indugi la fece rapire, con grave scandalo per tutto il paese.
Minacciata e poi comminata la scomunica al sovrano, questi non pose più argine al suo furore, facendo trucidare Stanislao a Cracovia nella chiesa di S. Michele, durante la celebrazione della Messa.
L'ignobile "assassinio nella cattedrale" sembra sia stato commesso per mano dello stesso sovrano, dopo che le guardie si erano dovute ritirare perché impedite da una forza misteriosa.
Venerato dai Polacchi fin dal giorno del suo martirio, San Stanislao venne canonizzato il 17 agosto 1253 nella basilica di S. Francesco ad Assisi, e da allora gode di un culto assai diffuso in Europa e in America.
(Autore: Piero Bargellini – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
I buoni esempi dei genitori esercitarono una profonda impressione sul figlio che imparò presto a darsi alla preghiera, ad evitare i frivoli divertimenti, a imporsi delle piccole privazioni e a soffrire volentieri le incomodità della vita.
Dopo i primi studi, egli fu inviato a completarli dapprima a Gniezno, celebre università della Polonia, poi a Parigi, dove per sette anni si applicò allo studio dei diritto canonico e della teologia.
Per umiltà rifiutò il grado accademico di dottore.
Quando ritornò in patria e divenne, per la morte dei genitori, possessore di una considerevole fortuna, Stanislao poté disporre dei beni in favore dei poveri e servire Dio con maggiore libertà.
Il vescovo di Cracovia, Lamberto Zurla, conoscendo quanto grande fosse la sapienza e la virtù di lui, lo ordinò sacerdote e lo fece canonico della cattedrale.
Stanislao fu il modello del capitolo per le penitenze con cui affliggeva il proprio corpo, la lettura e la meditazione continua della Sacra Scrittura, le vigilie e l'assiduità ai divini uffici.
Incaricato della predicazione, si acquistò in breve una così grande reputazione che parecchi ecclesiastici e laici accorsero da tutte le parti della Polonia a consultarlo per la tranquillità della loro coscienza. Dopo la morte di Lamberto, tutti, ad una voce, elessero Stanislao suo successore.
Egli, che si riteneva indegno e incapace di tanto ufficio, rifiutò energicamente.
Dovette tuttavia piegarsi all'ordine formale di Alessandro II e lasciarsi consacrare vescovo nel 1072.
Costretto a compiere le funzioni degli apostoli, egli cercò di praticarne le virtù. Per tenere sottomessa la carne portò il cilicio fino alla morte e per distaccarsi sempre di più dai beni della terra soccorse i bisognosi con generosità.
Per non dimenticare nessuno ne fece compilare un elenco completo. La sua casa era sempre aperta a quanti ricorrevano a lui per consiglio e aiuto.
Ogni anno visitava la diocesi per togliere gli abusi ed esigere dal clero una vita che fosse di edificazione per i fedeli.
Dimentico delle ingiurie, trattava tutti con la dolcezza e la bontà di un padre, e prediligeva i deboli e gli oppressi, che difendeva sempre e ovunque con invincibile fermezza.
La Polonia in quel tempo era governata da Boleslao II l'Ardito. Costui si era dimostrato valoroso nella guerra contro i Russi, ma nella vita privata non rifuggiva dalle orge, e in quella pubblica dalla tirannia. I rapimenti e le violenze erano i crimini che quotidianamente consumava con grande scandalo dei sudditi. Nessuno di coloro che lo avvicinavano osava fargliene la minima rimostranza. Soltanto Stanislao ogni tanto lo andava a trovare per indurlo a riflettere sulla enormità dei propri crimini e le funeste conseguenze degli scandali che dava. Boleslao II in principio cercò di scusarsene, poi parve dare segni di pentimento e promise di emendarsi.
Le buone risoluzioni del re non durarono a lungo. Nella provincia di Siradia un giorno Boleslao fece rapire a viva forza Cristina, la moglie del signore Miecislao, famosa per la sua bellezza. L'atto tirannico e immorale provocò l'indignazione di tutta la nobiltà polacca. L'arcivescovo di Gniezno, primate del regno, e i vescovi della corte furono pregati d'intervenire, ma essi, timorosi di dispiacere al sovrano, rimasero dei cani muti. Soltanto Stanislao, dopo avere a lungo pregato, osò affrontare il re per la seconda volta e minacciargli le censure ecclesiastiche se non poneva termine alla sua vita disordinata e prepotente. Alla minaccia di scomunica Boleslao uscì dai gangheri e ingiuriò grossolanamente il coraggioso prelato dicendogli: "Quando uno osa parlare con tanto poco rispetto ad un monarca, converrebbe che facesse il porcaio, non il vescovo". Il Santo, senza lasciarsi intimidire, rinnovò le sue istanze e disse al sovrano: "Non stabilite nessun paragone tra la dignità regale e quella episcopale perché la prima sta alla seconda come la luna al sole o il piombo all'oro".
Boleslao II, risoluto a vendicarsi a costo di ricorrere alla calunnia, si ritirò bruscamente senza neppure congedare lo sconcertante visitatore. Il santo vescovo aveva comperato da un signore, chiamato Pietro, la terra di Piotrawin, ne aveva pagato il prezzo alla presenza di testimoni, poi ne aveva dotata la chiesa di Cracovia. Nell'atto di vendita nessuna formalità era stata omessa, tuttavia Stanislao, confidando nella buona fede dei testimoni, non aveva richiesto dal venditore una quietanza. Essendo costui morto, il re chiamò a sé i nipoti di Pietro, li esortò a richiederne l'eredità come un bene usurpato dal vescovo, e li assicurò che avrebbe saputo intimidire i testimoni al punto da chiudere loro la bocca. Gli eredi, seguendo le istruzioni di Boleslao II, intentarono un processo al vescovo, lo citarono a comparire davanti ad un'assemblea di giudici presieduta dal re e lo accusarono di avere usurpato la loro proprietà. Il santo sostenne di averla pagata, ma essi negarono. Allegò allora dei testimoni, ma essi non ebbero il coraggio di dire la verità. Stanislao stava per essere condannato quando, in seguito ad una improvvisa ispirazione, chiese ai giudici una dilazione di tre giorni, promettendo di fare comparire in persona Pietro, morto da tre anni. La richiesta fu accolta con uno sprezzante sogghigno.
Dopo aver digiunato, pregato e vegliato, Stanislao il terzo giorno si recò al luogo in cui Pietro era stato seppellito, fece aprire la tomba e, toccandone con il pastorale la salma, gli ordinò di alzarsi nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Il defunto ubbidì e il santo lo condusse con sé al tribunale dov'era ad attenderlo il re, la corte e una grande folla di curiosi. "Ecco - disse Stanislao ai giudici entrando con Pietro nella sala - colui che mi ha venduto la terra di Piotrawin; egli è risuscitato per rendervene testimonianza. Domandategli se non è vero che gli ho pagato il prezzo di quella terra. Lo conoscete e la sua tomba è aperta". I presenti rimasero allibiti. Il risorto dichiarò che il vescovo gli aveva pagato quella terra davanti ai due testimoni che pochi giorni prima avevano tradito la verità, rimproverò i suoi nipoti per avere osato perseguitare ingiustamente il vescovo di Cracovia e li esortò a farne la penitenza. Dopo di che egli ritornò alla tomba da cui era uscito scongiurando il santo di pregare Nostro Signore affinché gli abbreviasse le pene del Purgatorio.
Quel prodigio fece una grande impressione sopra Boleslao II. Per un certo tempo trovò la forza di reprimere la sua lussuria e di mitigare le sue crudeltà. Compì persino una spedizione contro i Russi e s'impadronì della loro capitale, Kiew. Tuttavia, l'ebrezza della vittoria lo fece ricadere in braccio alle più sregolate passioni. Non contento degli ordinari eccessi, volle abbandonarsi pubblicamente alle abominazioni di Sodoma e Gomorra. Stanislao, quale novello Giovanni Battista, prese la risoluzione di porre un freno alla licenza del novello Erode anche a costo del martirio per la gloria di Dio e la salute della Polonia. Egli chiese al Signore con preghiere e penitenze la conversione del re, lo visitò parecchie volte per fargli aprire gli occhi e sollevarlo dall'abisso in cui era precipitato. La sua fatica fu inutile: il sovrano lo caricò d'ingiurie e lo minacciò di morte se continuava a censurare la condotta come aveva fatto.
Stanislao, acceso di sdegno per l'offesa che il re faceva a Dio, dopo avere chiesto il parere di altri vescovi, scomunicò pubblicamente Boleslao II e gl'interdisse l'ingresso in chiesa. Siccome il re continuava, nonostante le pene canoniche in cui era incorso, a prendere parte con i fedeli ai riti liturgici, il vescovo ordinò ai sacerdoti di sospendere i divini uffici ogni volta che lo scomunicato ardiva varcare la soglia delle loro chiese. Per parte sua, allo scopo di non essere turbato dalla presenza di lui nella celebrazione della Santa Messa, andava a dirla nella chiesa di San Michele, fuori Cracovia. Pieno di furore, Boleslao II si recò colà e ordinò ad alcune guardie di entrare in chiesa e di massacrarvi Stanislao.
Esse ubbidirono, ma mentre stavano per mettere le mani addosso al santo che celebrava la Messa, furono fatti stramazzare a terra da una forza misteriosa. Il re, irridendo alla loro debolezza, si avvicinò in persona a Stanislao con in mano la spada sguainata, e gli assestò un fendente sulla testa con tale violenza da farne schizzare le cervella contro la parete. Era l'11 aprile del 1079. Per assaporare di più la sua atroce sete di vendetta tagliò il naso e le labbra al martire, e quindi diede ordine che il cadavere fosse trascinato fuori della chiesa, fatto a pezzi e disperso per i campi affinché servisse di cibo agli uccelli e alle bestie selvagge.
Tuttavia Iddio fece sì che quattro aquile difendessero per due giorni le reliquie del Santo e che durante la notte esse rilucessero di uno strano splendore.
Alcuni sacerdoti e pii fedeli, fatti audaci da quei prodigi, osarono, malgrado la proibizione del re, raccogliere quelle membra sparse, emananti un soave profumo, e seppellirle alla porta della chiesa di San Michele. Due anni più tardi il corpo di Stanislao fu trasportato a Cracovia e seppellito prima in mezzo alla chiesa della fortezza e poi nella cattedrale (1088).
S. Gregorio VII (+1085) lanciò l'interdetto sul regno di Polonia, scomunicò Boleslao II e lo dichiarò decaduto dalla dignità regale.
Il principe, perseguitato esternamente dalla riprovazione dei sudditi, straziato internamente dal rimorso dei crimini commessi, cercò rifugio presso Ladislao I (+1095), re d'Ungheria, che lo accolse con bontà. Il pentimento non tardò ad impossessarsi del suo animo e allora intraprese un pellegrinaggio a Roma per implorare dal Papa l'assoluzione dalle censure.
Giunto ad Ossiach, nella Carinzia, la grazia lo spinse ad andare a bussare alla porta del monastero dei benedettini e chiedere di potervi passare il restante della vita come un fratello laico. Vi rimase sconosciuto fino alla morte (+1081) dedito alla penitenza e ai lavori più umili.
San Stanislao di Cracovia fu canonizzato da Innocenze IV nel 1253. Sulla sua tomba avvennero dei prodigi, tra cui la risurrezione di tre morti.
(Autore: Guido Pettinati – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santo Stanislao, pregate per noi.
*Altri Santi del giorno (11 Aprile)
*xxx
Giaculatoria - Santi tutti, pregate per noi.